giovedì 14 febbraio 2013

IL PRODUTTORE ARTISTICO


IL PRODUTTORE ARTISTICO

 

1. La figura del “produttore artistico” o “esecutivo” (il primo aggettivo è preferito dagli stessi produttori, il secondo da chi si avvale della loro opera: in realtà essi non sono sinonimi e, peraltro, sarà dal contenuto delle obbligazioni assunte dal produttore che lo si potrà meglio qualificare) ha nel diritto d’autore ([1]) italiano una importanza formale ben inferiore a quella del produttore di fonogrammi (nella terminologia comune: la “casa fonografica”) ([2]).
Tanto che nella legge numero 633 del 1941 non si rinviene una definizione del produttore artistico, mentre tale normativa si occupa solamente del PdF ([3]) e degli “artisti-interpreti-esecutori” ([4]) ma non di questa figura professionale.
Ciò non toglie che il produttore artistico nella prassi non possa essere trascurato.
 
 
2. Dal punto di vista delle attività demandategli, la figura del produttore artistico può essere ricavata abbastanza agevolmente dai contratti che sono stipulati fra le parti: di solito un contratto produttore/PdF, anche se oggi la scelta del produttore artistico è di norma fatta dal PdF concordemente con l’AIE se questi ha una certa importanza ([5]).
 
Il produttore artistico ha il ruolo di porsi fra l’AIE, il PdF e il mero tecnico del suono.
Al produttore artistico, cioè, è affidata la funzione di:
·         coadiuvare AIE e PdF nella scelta delle opere musicali da registrare,
·         coordinare, in misura più o meno apprezzabile, la realizzazione delle registrazioni impartendo suggerimenti all’AIE, ai musicisti (e più in generale a tutti gli artisti non “principali”) ed ai tecnici che si occupano materialmente della effettuazione delle registrazioni,
·         auspicabilmente fornire anche una impronta particolare alle registrazioni o meglio alle registrazioni che saranno poi commercializzate, impronta che, senza la sua attività, non ci sarebbe ([6]).
L’ampiezza del ruolo del produttore artistico è soggetta peraltro sia a limiti per così dire materiali: tempi e budget delle registrazioni; sia a limiti umani: autorità e scelte del PdF e dell’AIE. Talvolta al produttore artistico spetta anche la diretta gestione del budget (ed allora è da ritenersi anche produttore esecutivo).
 
 
3. Dal punto di vista strettamente economico e giuridico, il PdF: remunera il produttore artistico considerandolo fra le “voci” di spesa delle registrazioni, pagandolo in forma forfettaria, oppure con una royalty sulle vendite dei fonogrammi contenenti le registrazioni, oppure in forma mista.
Si considera quindi il produttore artistico come un collaboratore esterno, che presta un’opera che risulta mista, e cioè sia intellettuale sia in qualche modo materiale.
Per tali ragioni, il contratto con il produttore artistico sarebbe da reputare, in prima analisi, come un contratto di prestazione d’opera da parte di un soggetto autonomo e non subordinato ([7]).
 
Di volta in volta, la figura del produttore artistico potrà assumere valenze particolari: ad esempio se il contratto che lo lega al PdF è parallelo a quello dell’artista (produzione artistica di tutti gli album del predetto AIE) eventualmente anche per quanto riguarda il suo corrispettivo; oppure se il produttore artistico fornisce un “prodotto finito” (ed allora il PdF si assicurerà che il produttore gli ceda tutti i diritti su tale prodotto), con la possibilità di avvicinare il contratto ad un appalto se la remunerazione del produttore artistico copre non solo il suo corrispettivo ma anche le spese che egli sostiene ([8]).
 
 
4. Non va infine dimenticata la possibilità che, nel caso di importanti AIE (in grado di affermare il totale controllo sulle proprie registrazioni) o comunque dotati di capacità che esulano da quelle di semplice “interprete”, la figura del produttore artistico si sovrapponga a quella di artista. Anche questo è un segno dei tempi: gli anni sessanta del secolo scorso, infatti, in diversi casi hanno evidenziato una produzione uniforme da parte di diverse “etichette”/PdF che impiegavano sempre gli stessi produttori, con un rapporto di lavoro certo più prossimo a quello subordinato ma non per questo privo di risvolti artistici importanti ([9]).
 
 
5. I segnali che arrivano dalla prassi già impongono, anche a chi deve redigere i relativi contratti, di prestare una maggior attenzione al ruolo più o meno creativo (quindi da prestatori di opera intellettuale, pur se non suscettibile di essere classificata come opera dell’ingegno) altresì nell’ipotesi di certi produttori artistici addetti a rimasterizzazioni di storiche registrazioni del passato ([10]), oppure al rimissaggio innovativo di registrazioni fonografiche contemporanee di grande successo commerciale ([11]).
 

 

                                                                                  Stefano Galli

 

 

 

AVVERTENZA: il materiale qui pubblicato è fornito a mero scopo informativo ed è l’opinione del suo autore al momento della sua redazione, esso non costituisce, nemmeno in parte, parere legale o professionale

 

 

© 2013 Stefano Galli, Milano, Italia.
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[1] Con ciò mi riferisco all’intera materia regolata dalla legge speciale n. 633 del 22 aprile 1941 (cosiddetta appunto “legge sul diritto d’autore”) e quindi, nello specifico, all’ambito dei diritti, più propriamente “connessi” al diritto d’autore.
[2] Per brevità “PdF”.
[3] Articoli 72 e seguenti legge n. 633 del 1941.
[4] Articoli 80 e seguenti legge n. 633 del 1941., per brevità AIE.
[5] Si veda anche il successivo punto 4.
[6] L’aneddotica è infinita: ricordo ad esempio il lavoro di “taglio e montaggio” di Teo Macero e Tony Visconti rispettivamente quanto a Miles Davis (soprattutto per Bitches Brew) e a David Bowie (in particolare quanto a “Heroes”).
Si noti anche che mentre Macero fu per buona parte della sua carriera un produttore essenzialmente in-house, Visconti è un free lancer.
[7] Articoli 2222 e seguenti del Codice Civile
[8] Articoli 1655 e seguenti del Codice Civile.
[9] Si pensi al “suono” Motown o al “wall of sound” di Phil Spector, oltre al sodalizio Davis-Macero.
[10] Fra l’altro con la recente tendenza a commercializzare certe registrazioni per garantire loro una protezione legale che altrimenti non avrebbero.
In questo ambito taluni hanno ricondotto al pubblicazione di un quadruplo CD (fra l’altro su supporto “recordable”) di Bob Dylan da parte di Sony-Columbia alla fine del 2012.
[11] Peraltro, il contratto di “remixer” tende ad avere una propria autonoma dignità redazionale, nel senso che non è corretto usare un contratto riferito a un produttore artistico per colui che “rimissa” quanto già esistente, anche se con “inserti” di altre registrazioni.

1 commento:

  1. Nulla da eccepire, Stefano: solo qualche osservazione spero utile a qualcuno.

    Nella mia attività di produttore artistico per conto di majors discografiche, ho sempre notato come la sostanziale differenza tra i ruoli di produttore artistico ed esecutivo fosse presa da un lato per scontata, e dall’altro come concetto fumoso. Mi spiego meglio: normalmente l’artistico dovrebbe corrispondere alle mansioni elencate nei punti del tuo post, mentre l’esecutivo all’espletazione degli aspetti per così dire burocratico-economico-tecnici (dal booking degli strumentisti e dello studio alla definizione del budget), ovvero quelli che nulla hanno a che vedere con la dimensione artistica della fonoregistrazione. Ma spesso sono proprio i responsabili artistici delle majors (quelli che all’estero chiamano più aderenzialmente A&R) a fare confusione: ho assistito personalmente a querelle che in altri contesti sarebbero pure divertenti. Esempio: Michele Torpedine ai tempi d’oro di Zucchero o di Gino Paoli era un esecutivo o un artistico, al di là di quanto recitavano le liner notes degli album? Ho anche notato come produttori considerati artistici puri e crudi spesso siano solo arrangiatori anche bravissimi, il cui lavoro dà smalto e appeal a un album, ma che al tempo stesso non contribuisce minimamente alla dimensione strettamente ARTISTICA della complessità di quello a cui lavorano.

    Per quanto mi riguarda, la confusione si infittisce: ho infatti svolto il ruolo di produttore artistico occupandomi della scelta degli strumentisti, degli arrangiamenti dei brani, degli aspetti tecnici della registrazione (a volte in diretta con aggiunta delle voci in overdub, a volte costruendo strato per strato e pista su pista, dalla base ritmica alla sovraincisione degli archi), al creare l’atmosfera giusta tra i musicisti e in molti casi la motivazione all’artista di turno –e credimi, questo è stato in più di un caso l’aspetto fondamentale e più ‘artistico’ tra tutti gli altri. Oltre a tutto questo, ero pure il band leader o MD (Musical Director), suonando insieme ai sessionmen e indirizzando tempi e mood generale di ogni registrazione. Ero quindi anche strumentista, ma al tempo stesso dovevo firmare il budget dell’album e garantire la data di consegna del master. Subivo quindi le esigenze del sessionman e le pressioni del produttore. In pratica, sulla nave ero il capitano e al tempo stesso anche il mozzo.

    Come regolare tutto ciò dal punto di vista contrattuale ed economico? La major del caso mi riconosceva una percentuale sulle vendite (riconosciuta generalmente al produttore artistico), e a parte mi veniva pagato anche il lavoro in studio come strumentista (un forfait secco per tutto l’album). Pensandoci, di esecutivo non restava nulla da fare, essendo l’artista in questione ultracontrattato da anni: il lavoro del suo manager di ritocchi al contratto tutto potrà essere considerato, ma certamente non il lavoro di un produttore, nè tantomeno di un esecutivo.

    In conclusione, ci ho forse rimesso la percentuale dell’esecutivo, che ho tutto il motivo di pensare sia finito chissà dove. Va bene che a caval donato non si guarda in bocca, ma qui non c’era nessun cavallo, e di sicuro non era donato.

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