IL “REMIX” FONOGRAFICO
(questioni
di tutela giuridica e contrattualistica conseguente)
Un settore della
fonografia che non sembra, per ora, avere ripercussioni almeno in termini
qualitativi ([1]) è quello dei
“rimissaggi”, ovvero dei “remix”, di
registrazioni.
Anzi, data la
loro usuale funzione di rivolgersi a segmenti particolari: i disc jockey,
oppure gli ascoltatori più fedeli di un artista, la loro importanza può
addirittura essere accentuata dal periodo non florido che colpisce i produttori
di fonogrammi ([2]).
Sotto un profilo
giuridico, l’argomento ha more solito
una duplice rilevanza: quello della sua tutelabilità in termini oggettivi (suo
rapporto con l’opera cui si riferisce e registrazione derivata da quella
originale) e soggettivi (chi è proprietario della registrazione) e quello della
contrattualistica che lo riguarda.
Come si vedrà, i
due vettori non sono del tutto scindibili.
Per quel che
concerne il “bene remix”, in astratto potrebbe porsi il problema se il remix
sia un’opera musicale derivata da quella originale e quindi suscettibile di
tutela come opera dell’ingegno: per l’articolo 4 della legge n. 633 del 1941: “Senza pregiudizio dei diritti esistenti
sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere
creativo dell’opera stessa, quali […] le
variazioni non costituenti opera originale” ([3]); il
successivo articolo 18, comma 2, precisa che “”[i]l diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di
modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera previste all’art.
4” ; mentre il precedente articolo 12, comma 1, prevede
che l’autore “[h]a altresì il diritto esclusivo di utilizzare
economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Ne consegue che
l’editore musicale attento si preoccuperà: da un lato, di disciplinare
contrattualmente l’ipotesi dei remix con gli autori e compositori di ogni opera
musicale ceduta ([4]); dall’altro, ove ciò si
renda necessario ([5]), anche a raggiungere un
accordo con l’autore e/o compositore del remix.
Dal canto suo,
il PdF dovrebbe prevedere nel contratto con ogni artista anche l’ipotesi di
realizzazione di un remix e disciplinarla quanto a: facoltatività (o meno),
sopportazione dei costi di sua realizzazione, approvazione della (o delle) registrazione
derivata, corrispettivi dovuti all’artista per lo sfruttamento commerciale del
remix, eccetera.
La posizione del
soggetto che realizza il remix si può, a questo punto, paragonare a quella del
produttore artistico ([6]): come
quest’ultimo egli lavora con qualcosa di altrui, ma il remixer più che con
l’artista-interprete-esecutore e gli altri soggetti che hanno partecipato alla
realizzazione della registrazione originale lavora con il “prodotto finito” cui
ha contribuito anche il PA ([7]).
Come per ogni
altro contratto, colui che redige quello avente ad oggetto un remix deve avere
una certa dimestichezza con le prassi che sono disciplinate nell’accordo inter partes: pena il rischio di
controversie di non semplice soluzione.
Data questa
premessa, un testo ben articolato che regoli i rapporti fra PdF e remixer può
avere come punto di partenza un contratto fra PdF e PA, ma da quel momento in
avanti occorre ragionare per analogia solamente rispetto alle eventualità, non
con riferimento all’attività consistente nel remix che è per molti aspetti
diversa da quella svolta dal PA.
In linea di
massima, è corretto ragionare innanzitutto in termini di registrazione
fonografica derivata (il remix) e considerando il remixer come soggetto in una
posizione comunque subordinata rispetto a quella dell’AIE cui si riferisce il
remix, ma appena si proceda incaricando del remix un soggetto noto (come
potrebbe accadere anche per il PA) ([8]),
tutto si fa più complesso, ed al remixer potrebbe doversi applicare anche un
trattamento da AIE e, eventualmente, anche di autore e/o compositore di opera musicale
derivata.
Stefano
Galli
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scritto dell’autore.
[1]
Chiaramente se si vendono meno fonogrammi o copie di registrazioni, la
contrazione colpirà anche le registrazioni remixate e i fonogrammi che le
contengono.
[2] “PdF”.
[3]
L’elenco completo di cui alla norma è piuttosto articolato.
[4] Si
rammenta come, per giurisprudenza e dottrina ormai pacifiche, l’opera musicale
(a differenza dell’opera letteraria tradizionale) sia oggetto di contratti
aventi durata perpetua; cioè l’autore cede l’opera (secondo le quote previste
dal contratto) per sempre all’editore.
[5]
Chiaramente, se editore e PdF hanno buoni rapporti (o se si tratta di imprese
facenti capo al medesimo “gruppo”) tutto sarà più semplice.
[6] “PA”.
[7] Onde
anche la contrattualistica fra PdF e PA deve essere la più completa possibile
in termini di ipotesi contemplate.
[8] Per
praticità esemplifico con un solo artista, David Bowie, e mi riferisco al suo
album The Next Day (del 2013).
Il produttore artistico
dell’album è Tony Visconti, la cui notorietà ed autorevolezza è indiscussa e
come tale è trattato.
Autore di un remix della
registrazione dell’opera musicale “Love Is Lost”è James Murphy, già leader dei
LCD Soundsystem che è accreditato in copertina con riferimento a DFA, la sua
“etichetta” fonografica. Ad ulteriore complicazione, il titolo del remix in
questione include nome e cognome del compositore Steve Reich e la registrazione
derivata è qualificata come “mix”.