sabato 17 maggio 2014

CANZONI “VECCHIE E “NUOVE” (riserva di collocamento, campionamento, plagio e questioni adiacenti)


CANZONI “VECCHIE E “NUOVE”
(riserva di collocamento, campionamento, plagio e questioni adiacenti)


Premessa.
Uno degli argomenti più complessi in tema di diritto d’autore (come già ho altrove rilevato ([1])) è quello della tutela “parziale” (quantitativa) delle opere dell’ingegno, e cioè il limite entro il quale un’opera rimane tale (e non una “parte”, priva di qualsiasi autonomia e individualità, di altra) ed è quindi protetta nonché quello, marginale ma meritevole di considerazione, dell’utilizzo tipico e specifico (sorta di parzialità “qualitativa”) mediante un’interpretazione dell’opera diversa da quella sua “prima”.
In altre forse più evidenti parole: le questioni qui affrontate attengono tutte (indipendentemente dal loro aspetto quantitativo o qualitativo) alla possibile incidenza esterna di soggetto diverso dall’avente diritto sulla medesima, sullo sfruttamento dell’opera.
Nello specifico, saranno qui di seguito considerate le opere musicali, per le quali la casistica può lasciare perplessa più di una persona: è stato appositamente banalizzato il titolo di queste righe proprio in ragione di ciò: “vecchia” è l’opera di partenza, “nuova” o comunque in qualche modo difforme nella sua percezione quella “finale” che alla prima fa riferimento.
Le tre fattispecie esaminate, a mio parere, hanno anche fra loro per lo meno una “affinità commerciale” che induce a considerarle insieme e l’ulteriore elemento di una visione evolutiva, o dinamica, della protezione delle opere musicali.
Preciso che, salva qualche considerazione specifica, la disamina sarà limitata all’ambito normativo (e più in generale giuridico) italiano, quindi alla legge n. 633 del 22 aprile 1941 e alle disposizioni da essa in qualche modo derivate.
Inoltre, non riprenderò le osservazioni già svolte con riferimento all’articolo 70 della legge n. 633 del 1941: non solo per non ripetermi, ma anche e soprattutto perché quella norma in tema di “riassunto”, “citazione” o “riproduzione” di parti di opera preesistente – essendo eccezione “difensiva” del soggetto utilizzatore dell’opera altrui ([2]) – presuppone per la sua applicazione di essere in presenza di situazioni in cui vi siano finalità “di critica o di discussione”, cioè utilizzi che esulano da quello comunque commerciale, seppure artistico, riferibile a un’opera musicale. Le situazioni limite ovviamente richiederanno peraltro anche la considerazione di tale eccezione di legge, verosimilmente escludendone tout court l’invocabilità ([3]).
Stante la sua adiacenza concettuale, in quanto di nuovo trattasi spesso di difesa sollevata in caso di contestazione, più che di qualificazione ab origine dell’opera nuova, non considererò nemmeno l’argomento della parodia ([4]), la quale, necessariamente, trova fondamento in un’opera precedente, appunto. Si rammenta come in Italia difetti di questa pratica una nozione normativa e la giurisprudenza in materia sia piuttosto scarsa ([5]), peraltro con qualche “dissonanza” a un certo favor nei confronti del parodiante proprio in tema di opere musicali ([6]).
1. Riserva di collocamento e “versioni” di un’opera.
Innanzitutto, esiste un istituto poco noto ai non esperti chiamato “riserva di collocamento”, disciplinato dalla Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), in forza del quale ([7]): “[l]imitatamente alla prima riproduzione delle opere su supporti fonovideografici e delle corrispondenti versioni digitali “on line” aventi contenuto musicale e destinati alla distribuzione al pubblico per l’uso privato, l’Associato o Mandante ha facoltà di scelta dell’utilizzatore per un periodo non superiore a sei mesi dalla notifica alla Società, con comunicazione con avviso di ricevimento, dell’intenzione di avvalersi di tale facoltà” ([8]). 
Giova peraltro evidenziare che detta riserva è a cura dell’aderente alla Società; onde “[s]e l’aderente si è riservata l’attività di collocamento, e cioè la facoltà di scelta dell’utilizzatore, la Società può concedere la licenza soltanto a chi sia all’uopo indicato dall’aderente”. Però “[q]uesti può comunicare la riserva del collocamento anche successivamente alla dichiarazione dell’opera, restando in tal caso salvi gli effetti delle licenze di rappresentazione eventualmente già concesse dalla Società”([9]).
Pertanto, a determinate condizioni viene accordata ai titolari dei diritti sull’opera musicale una breve esclusività di utilizzo, assoluta o relativa a seconda del tempo di richiesta di riserva e di eventuali pregressi licenziatari; esclusività atta a escludere la proliferazione di “versioni” registrate della predetta opera.
Una volta cessata l’efficacia della riserva di collocamento, o prima della sua effettuazione, secondo la procedura prevista da SIAE sarà possibile per un soggetto diverso dai titolari dei diritti sull’opera effettuare delle “cover version” ([10]) fonografiche (o videografiche).
È il caso di osservare come non necessariamente la versione registrata per prima sia sempre quella che avrà maggior successo: si pensi a “New York, New York” ([11]): si potrà preferire l’interpretazione datane da Frank Sinatra (formalmente una cover) oppure quella iniziale di Liza Minnelli ([12]).
Pertanto, è possibile affermare che anche nell’ambito del diritto d’autore esiste per le opere musicali una “privativa”, sicuramente forte ma molto breve e discrezionale.
All’estero il tema si fa più complesso, con – in certi casi – un vero e proprio diritto di veto, a che si utilizzi da parte di altri un’opera musicale, o anche solo un frammento di essa (ed ecco che si perviene al prossimo argomento), sulla quale si vantano dei diritti ([13]).
2. Campionamento.
L’utilizzo quantitativamente parziale di un’opera musicale altrui più semplice da identificare è quello dei campionamenti, o “sample” ([14]).
Innanzitutto, anche per i campionamenti esiste il “doppio binario”: corpus mysticum (opera)/corpus mechanicum (registrazione), che è un leit motiv nel settore del diritto d’autore in ambito musicale.
Pertanto, anche in questo ambito ogniqualvolta si discute di una registrazione occorre tenere presente altresì l’opera musicale “sottostante” e i relativi diritti, gli unici “d’autore” essendo quelli sulla registrazione soltanto “connessi” ([15]) e derivati dai primi, in quanto non c’è registrazione senza opera musicale relativa, anche nei casi in cui si trattasse di un’opera improvvisata in sede di sua esecuzione contestualmente registrata.
Con l’espressione “campionamento”/“sampling” s’intende l’uso di una “porzione” (o frammento) di un’opera musicale ([16]) preesistente che viene a essere impiegata in un’altra opera, nuova, di cui diviene parte: può trattarsi di un frammento solo musicale o dotato anche di testo ([17]) ([18]).
Per essere legittimo, il campionamento e il suo uso ([19]) devono essere autorizzati dai titolari dei diritti sull’opera “campionata” ([20]).
Evidentemente, si pone un problema di identificazione del campionamento: nel senso che una frazione irriconoscibile di un’opera preesistente può non essere molto “utile” all’opera nuova, ma il tema non è suscettibile di essere ridotto a formule. D’altro canto, anche più frammenti non significativi di opere di uno stesso autore (o interprete) potrebbero attribuire alla nuova opera uno “stile” non suo, come se chi campiona si appropriasse di pregi e qualità altrui: suonare (per l’ascoltatore) “come …” ([21]) non essendolo.
Contrattualmente, la materia del campionamento deve essere considerata almeno sotto due aspetti.
Negli accordi fra autore/compositore ([22]) e l’editore, quest’ultimo cercando sempre di essere manlevato dal primo nel caso in cui da un campionamento derivassero controversie. Evidentemente, per le ragioni qui di seguito accennate, l’editore deve poter gestire anche quelle opere dei “suoi” autori che fossero esse stesse oggetto di campionamento. Con un caveat: esiste sempre, e comunque, un limite “morale” che non può essere oggetto di rinuncia; pertanto nonostante la sussistenza di previsioni contrattuali che lo permettono, in condizioni particolari l’autore potrebbe comunque cercare di impedire all’editore di autorizzare il campionamento di una sua opera affermando che quel campionamento sia lesivo di sue prerogative “morali” (incedibili, imprescrittibili).
Nelle intese, di natura squisitamente patrimoniale (crediti inclusi), fra l’editore dell’opera campionata e l’editore di quella contenente il “sample”.
Prudenzialmente, è possibile preoccuparsi del campionamento anche nei contratti fonografici: soprattutto quanto ai rapporti fra il produttore di fonogrammi e quei soggetti, diversi dall’artista, che partecipano alle registrazioni ([23]) e poi, specularmente a quanto già considerato, occuparsene anche con riferimento ai rapporti (crediti inclusi) fra produttore di fonogrammi della registrazione campionata e produttore di quella che contiene il sample.
Ai lettori più attenti non può certo sfuggire come ogni campionamento non autorizzato rischi di trasformarsi in una questione di plagio, cioè di “copiatura” o, anzi e addirittura, di “appropriazione” di un frammento – rilevante – di un’altrui opera e, eventualmente ma non sempre (se si “risuona”/“ricanta” il frammento), anche di una relativa registrazione fonografica dell’opera stessa ([24]).
A meno che, e la prassi non è ignota soprattutto all’estero, il campionamento sia autorizzato ab origine: esistono imprese che concedono in licenza campioni realizzati da loro autori proprio per essere impiegati come parti di opere musicali da altri.
Prima di passare all’argomento plagio occorre però svolgere un’altra riflessione.
Se è vero, e lo è, che un autore può sicuramente elaborare una propria precedente opera, questo suo diritto può avere delle limitazioni che, fino a una decina di anni fa potevano sembrare improbabili (sebbene non impossibili).
Facciamo il caso di un autore che agli inizi della propria carriera autoriale/compositiva abbia creato un’opera musicale di grande successo, ceduta a un editore ([25]). Questo autore una decina di anni dopo, avendo costituito una propria impresa editrice musicale cui “cede” i diritti delle sue nuove canzoni, crea una canzone che in parte impiega frammenti della vecchia opera.
Ebbene, potrebbe sorgere un problema di natura contrattuale, dunque di diritti relativi e non assoluti (come accade invece nel caso di un “classico” plagio da parte di terzi) per il fatto che l’autore si “ispiri” a se stesso ([26]), magari addirittura attingendo “testualmente” al proprio repertorio, dunque plagiandosi (nel caso di auto citazione testuale si potrebbe ipotizzare un “auto campionamento”) ([27]).
3. Plagio (parziale).
Pensare di poter trattare esaurientemente il tema del plagio in questa sede sarebbe peccare gravemente di presunzione. Inoltre, posto che entro l’ambito delle opere dell’ingegno il plagio può riguardare non solo opere musicali, quindi ampliando ulteriormente il tema.
Mi riporto quindi a uno scritto di ben maggiore portata ([28]), citandolo “depurato” dei riferimenti in nota.
Il termine “plagio” è solitamente utilizzato per indicare diverse fattispecie illecite: il plagio stricto sensu, la contraffazione ed il plagio-contraffazione.
Il plagio in senso stretto si riferisce alla sola violazione del diritto morale dell’autore, che si verifica qualora una persona riproduca pedissequamente un’opera altrui, rappresentandola come propria.
La contraffazione è, invece, lo sfruttamento non autorizzato dell’opera altrui, con lesione del solo diritto patrimoniale d’autore.
Il plagio-contraffazione, infine, è ravvisabile quando, oltre all’usurpazione di paternità dell’opera, con conseguente violazione del diritto morale d’autore, vi è la lesione dei diritti patrimoniali.
Oggi – come in passato – la contraffazione ed il plagio si qualificano, dunque, quali fatti illeciti che aggrediscono ed attentano alla titolarità ed alla integrità di un’opera dell’ingegno avente i tratti e gli elementi dell’originalità.
L’agente plagiario compie, di prassi, un’attività di mera riproposizione dei requisiti salienti di un’opera dell’ingegno preesistente, elaborandone o semplicemente modificandone taluni elementi, presentando l’opera al pubblico come se fosse completamente nuova ed attribuendosene così la paternità.
Il plagio si rivela dunque quale contraffazione qualificata ed aggravata, rispetto ad una semplice riproduzione abusiva che non usurpi l’altrui paternità dell’opera.
Tuttavia i termini plagio e contraffazione vengono usati, di fatto, alternativamente; tanto che non costituisce un’improprietà linguistica utilizzare tali espressioni per individuare un’unica violazione del diritto d’autore ([29]).
Si può aggiungere che in linea generale la “percezione” del preteso plagio è solitamente conseguente allo sfruttamento dell’opera musicale ritenuta plagiaria e, pertanto, spesso la questione pone, all’origine, in contrapposizione fra loro le registrazioni fonografiche delle due opere, ma in una seconda e ben più articolata fase sono le due opere musicali a essere oggetto di analisi e disamina.
Con l’avvertenza che in una controversia di plagio la soccombenza del soggetto (o più di uno) che lamenta il plagio può anche giungere all’affermazione che l’opera precedente non sia originale e, dunque, meritevole di tutela.
Dati questi concetti essenziali, l’attenzione evidentemente si sposta sulla casistica con un approccio comunque quantitativo, ma non generalizzante, poiché certe pretese “formule meccaniche” si rivelano come inutilizzabili come regola.
Scrivo di approccio quantitativo entro una “case by case analysis” in quanto ([30]) il raffronto è di regola svolto come segue: il miglior criterio per scoprire la contraffazione [...] relativamente alle opere [musicali] che si tengono a modelli uniformi che anche nelle loro forme di espressione seguono certi passaggi fondamentali invariabili non può che fondarsi sull’analisi quantitativa delle similitudini e delle conformità” ([31]).
Dunque, entro questi mobili confini dell’originalità e della novità relative, non assolute ([32]), l’interprete potrà di volta in volta risolvere il problema del rapporto fra una canzone “vecchia” e una “nuova”.
4. Conclusioni.
In conseguenza della ricognizione qui offerta, dovrebbe essere un poco più semplice districarsi nelle differenze esistenti fra i vari possibili “usi parziali” di opere musicali altrui.
Quello dell’opera protetta da riserva di collocamento è un tema destinato usualmente ad avere una rilevanza temporalmente ridotta.
Lo scrimen concettuale fra campionamento e plagio potrebbe essere dato dalla volontarietà esplicita nell’uso di parte dell’opera altrui nel primo caso.
Mentre nella seconda fattispecie – almeno secondo le scelte del Legislatore italiano: da un lato, per affermarne la sua antigiuridicità non si richiede la volontarietà del plagio (a meno che non si versi nella contraffazione in senso stretto); dall’altro, anche e comunque, potrebbe sussistere un plagio “non identificato” quanto all’opera colpita dallo stesso.
Si può, anche, aggiungere che il campionamento ha una pedissequità necessaria nel “prendere” dall’opera campionata e “ripetere” che non è invece elemento sempre richiesto per configurare un plagio.
Sotto il profilo pratico, scelte patrimoniali potrebbero indurre a non preoccuparsi molto sino a che un soggetto terzo lamenti il preteso campionamento non autorizzato ([33]) o il preteso plagio.
Con la precisazione che, al di là della capacità persuasiva del soggetto nel caso singolo, affermare che si trattava solamente di “un omaggio a …” significa confessare l’essersi appropriato di qualcosa di altrui e, quindi, l’indagine si sposta automaticamente sulla legittimità di detta appropriazione, indipendentemente dalla sua qualificazione (e dai suoi fini).
                                                                                                                      Stefano Galli
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[1] In questo blog: si veda il post “L’articolo 70 della legge n. 633 del 22 aprile 1941”.
[2] Spostandosi nei sistemi anglosassoni, devo però precisare come la difesa del “fair use” sia sollevata anche in casi in cui sono sub iudice ipotesi di “campionamento” di altrui opere musicali.
[3] L’autore di un’opera musicale che includesse una strofa di “The Hollow Men” nel proprio testo senza includere T. S. Eliot fra gli autori non potrebbe invocare l’articolo 70 (o sua norma omologa o il precitato fair use); appena riconosciuta la strofa, il problema sarebbe solamente quello di un suo uso non autorizzato.
Qualche complicazione in più potrebbe verificarsi per un’opera audiovisiva comprendente anche immagini (fisse o in movimento) e/o registrazioni audio altrui.
[4] Il vocabolo deriva dal greco “parōidía”: composto dal prefisso “para” – vicinanza, somiglianza, affinità, deviazione, alterazione, contrapposizione; e dal termine “ōidé” – canto: G. DEVOTO e G. C. OLI, voce “parodia”, in Il dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnnier, 2007.
Si rinvia inoltre a: V. DE SANCTIS, voce “Autore (diritto di), in Enc. dir., IV, Milano, Giuffrè, 1959, pagg. 417 e ss., pagg. 417 e 418, nonché ad A. ARIENZO, voce “Parodia”, in Noviss. dig. it., XII, Torino, Utet, 1965, pagg. 448 e 449.
[5] In argomento, rinvio a P. VISCO – S. GALLI, Il diritto della musica, Milano, Hoepli, 2009, pagg. 316-321.
Oltre alle citazioni ivi, si aggiungano almeno le seguenti: per la giurisprudenza le ordinanze di Trib. Milano, Sez. PII, 14 luglio 2011 in sede di giudizio di reclamo con la Fondation Alberto et Annette Giacometti come soggetto ricorrente e di Trib. Milano, Sez. feriale, 13 settembre 2004 sempre in sede di giudizio di reclamo (la quale in qualche modo accomuna parodia e satira) con Trenitalia quale soggetto ricorrente. Per la dottrina due note alla sentenza di Milano del 14 luglio 2011: L. BRICEÑO MORAIA, “’Arte appropriativa’, elaborazioni creative e parodia”, in Riv. dir. ind., 2011, pagg. 357 ss e G. SPEDICATO, “Opere dell'arte appropriativa e diritti d'autore”, in Giur. comm., 2013, II, pagg. 118 e ss.
Non sembra prendere posizione sulla questione, bensì solamente sulla durata del diritto d’autore, la sentenza civile della Corte d’Appello di Roma del 19 novembre 2012 sul personaggio letterario Zorro.
[6] Mi riferisco alla sentenza del Tribunale civile di Milano che ha sancito come: “al di là (...) della più o meno accentuata radicalità della variazione apportata al testo della composizione, l’identità della parte musicale dell’opera in ragione del suo carattere unitario impedisce di ritenere sussistente una reale e non meramente apparente contrapposizione ideale e contenutistica tra le diverse composizioni” e che “nelle opere musicali (...) la parte musicale assume un’importanza preponderante e quindi non è possibile considerare nuova una composizione successiva che ricalchi esattamente il tema musicale della precedente” (Trib. Milano, Trib. Milano, 31 maggio 1999, in AIDA, 2000, pagg. 732 e ss., con nota senza titolo di A. CAPPELLARO).
[7] Mi limito sempre alle opere musicali, pur se la disposizione ha respiro più ampio: si cfr. gli articoli 37 e 38 del medesimo Regolamento.
[8] Articolo 31 del Regolamento Generale SIAE nel testo vigente.
La norma è contenuta nella Sezione I - “Opere e diritti”, del Capo II - “Norme speciali per la Divisione Musica”, del Titolo II - “Protezione delle opere”, del Regolamento.
[9] V. DE SANCTIS – M. FABIANI, I contratti di diritto d’autore, seconda edizione Milano, Giuffrè, 2007, a pag. 200.
[10] Con “cover version” normalmente s’intende una versione di un’opera musicale in precedenza già interpretata da altri. La cover version può essere registrata, ma non solo: è possibile che un artista inserisca una “canzone” altrui nel proprio repertorio dal vivo senza registrarla (dal vivo o in studio, non fa differenza).
[11] Preciso che il titolo esatto è “Theme from New York, New York”, anche per non confonderla con la canzone, un altro successo, del 1944.
[12] I casi sono innumerevoli e quindi è inutile procedere con altre esemplificazioni.
[13] Per gli USA si consideri ad esempio questo breve excursus: “Legal issues: When you need permission”, in http://thecoverstories.blogspot.it/2011/02/legal-issues-when-you-need-permission.html
[14] Per maggiori approfondimenti si può partire da P. VISCO – S. GALLI, Il diritto della musica, cit., pagg. 330-349.
Preferisco utilizzare il termine campionamento anche per la “parte” oltre che per la “pratica” in quanto la parola campione può dar luogo ad equivoci nel settore della fonografia.
[15] Il diritto d’autore ha per oggetto, com’è noto, l’opera dell’ingegno – in questo caso musicale – in sé considerata, espressione della creatività dell’autore ed intesa quale “corpus mysticum” – opera che può, ma non necessariamente deve, essere “contenuta” e fissata nella registrazione fonografica (o nelle registrazioni fonografiche: l’opera è una, ma le sue registrazioni possono essere anche molteplici).
La fonte normativa della disciplina a tutela dell’opera musicale sostanzialmente si trova nel titolo I, in particolare negli articoli da 12 a 19 della legge n. 633/1941 nel testo vigente ed in altre disposizioni contenute anche negli articoli 2575 e seguenti del codice civile, nonché nella legislazione speciale relativa alle forme di utilizzazione, ai modi di trasferimento ed alla tutela giurisdizionale.
Rispetto ai diritti connessi, si parla invece di corpus mechanicum. In particolare, il diritto del “produttore di fonogrammi” (artt. 72 e seguenti legge n. 633/1941. In precedenza “produttore di dischi fonografici ed altri apparecchi analoghi”: si cfr. il d. lgs. n. 68 del 9 aprile 2003), attiene al fonogramma, rectius alla registrazione fonografica che esso contiene, inteso quale “corpus mechanicum”, appunto, cioè un supporto materiale e prodotto finalizzato alla commercializzazione industriale in sé medesimo, contenente l’opera musicale.
I diritti relativi al “fonogramma” (già supporto fonografico), appartengono all’imprenditore (comunemente detta “casa discografica”, più precisamente impresa fonografica), quale titolare del prodotto industriale; diritti la cui fonte legislativa essenziale è posta nel titolo II della legge n. 633/1941, titolo che regola per l’appunto i “diritti del produttore di fonogrammi” (artt. 72 e seguenti legge n. 633/1941); diritti il cui fatto genetico, come è noto, non è la creazione di un’opera dell’ingegno, bensì la realizzazione di un “prodotto” (art. 75 legge n. 633/1941) – la registrazione originale – frutto di uno sforzo organizzativo e finanziario di tipo imprenditoriale e, in quanto tale, suscettibile di essere duplicato e venduto sul mercato ed il cui utilizzo è subordinato al preventivo consenso dell’avente diritto.
Quelli qui sopra riassunti sono principi rinvenibili in tutta la miglior manualistica in materia.
[16] Come già premesso, evidentemente, il confine con la “citazione” (oltre che con il tema del plagio) è non sempre netto.
Nulla di nuovo, peraltro: a partire dalla Gioconda con i baffi, titolo dell’opera “L.H.O.O.Q.” prima versione del 1919, di Marcel Duchamp, il quale avendo utilizzato una fotografia potrebbe comunque portare (almeno in astratto) a valutare il tema della protezione della predetta fotografia (l’esempio evidentemente è suggestivo: esso è svolto anche da Spedicato nella sua nota a sentenza sopra citata, ma non vedo affinità fra esso e Andy Warhol, anche citato da questo autore, posto che il secondo non partiva da un’opera dell’ingegno, semmai poteva porsi una questione fra diritti eterogenei: sul marchio e sull’opera figurativa).
[17] Il tema del testo di un’opera separato dalla musica della stessa e impiegato da solo non è esattamente riconducibile a un campionamento.
[18] L’espressione campionamento andrebbe, correttamente, riferita solamente alla parte contenuta nella nuova opera.
[19] In realtà quello che rileva in ultima analisi è l’uso, soprattutto in riferimento alle registrazioni digitali.
[20] Celebre fu il caso del rapper Vanilla Ice rispetto a un campionamento non autorizzato di una canzone scritta e interpretata dai Queen con “ospite” David Bowie (tutti e cinque gli artisti sono nei crediti autoriali-compositivi), “Under Pressure”, nella sua “Ice Ice Baby”.
Per “crediti” (in Inglese “credits”) si intendono nomi e cognomi degli autori e – se esistente – nome (o nomi) dell’editore dell’opera; quanto alla registrazione fonografica i crediti attengono all’artista (o più di uno con dignità di menzione) che la interpreta e al produttore di fonogrammi ma non solo: dignità potrebbero avere anche taluni musicisti e/o artisti ospiti e il produttore artistico/esecutivo.
Quando il sample attiene anche a una registrazione, i crediti riferiti ad opera e registrazione campionata possono essere piuttosto articolati. Il campione di “How Soon Is Now” ha richiesto i seguenti crediti: Morrissey e Johnny Marr per l’opera; Morrissey, Marr, Andy Rourke e Mike Joyce per la registrazione da cui il campione è tratto pur se, si badi, il campione si riferisce solo vibrato di chitarra di Johnny Marr.
[21] Può essere lo stile di James Brown, forse l’autore-compositore e artista più campionato di tutti, oppure quello di un virtuoso chitarrista.
[22] D’ora in poi indicherò con “autore” indistintamente i due casi, salvo ove necessiti una precisazione.
[23] Si consideri un produttore artistico di fama che usi propri studi di registrazione con apparecchiature impiegate in registrazioni diverse.
[24] Ripeto: il campionamento di una registrazione “include” anche e necessariamente quello dell’opera musicale registrata.
[25] È pacifico che la cessione dell’opera musicale sia perpetua, a differenza di quanto accade per le opere letterarie.
[26] Data la portata limitata di queste righe, è sufficiente ricordare: M. FABIANI, Il plagio di se stesso, in Bollettino della SIAE, n. 3, maggio-giugno 2002, pag. 77 e ss.
[27] Proprio la natura giuridicamente solamente “obbligatoria” del contendere, dovrebbe indurre a utilizzare parametri non identici a quelli del plagio classico nella decisione dei vari casi.
[28] Mi riferisco a P. VISCO – S. GALLI, Il diritto della musica, cit., pagg. da 301 a 330.
[29] Ivi, pagg. 303 e 304 riportate in questo e nel precedente paragrafo del presente punto 3.
[30] Dopo aver escluso la validità di taluni tentativi banalizzanti di sostenere la natura plagiaria di un’opera in danno ad altra in base al numero di battute uguali (o simili) fra le due.
[31] P. GRECO, P. VERCELLONE, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino, Utet, 1974, pag. 361. (incisi in parentesi quadra aggiunti).
[32] Si rammenti come la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che “il concetto giuridico di creatività […] non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’articolo 1 l. 633/41, di modo che, affinché un’opera dell’ingegno riceva protezione a norma di detta legge, è sufficiente la sussistenza di un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore; con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia”: Cass. civ., 12 marzo 2004, n. 5089, in Foro it., 2004, I, cc. 2441 e ss., a c. 2443 (inciso in parentesi quadra aggiunto).
Ricordo che questa pronuncia del Supremo Collegio richiama Cass. civ., 2 dicembre 1993, n. 11953, in Foro it., 1994, I, cc. 2416 e ss., a c. 2428 (con nota di A. MASTRORILLI, Originalità nelle opere compilative e informazione), la quale si rifà, a sua volta, alla risalente pronuncia di Cass. civ., 23 gennaio 1969, n. 175, in Giust. civ., 1969, I, pagg. 603 e ss., nonché in Dir. aut., 1969, pagg. 215 e ss., con breve nota redazionale, e in Foro it., Rep. 1969, voce “Diritti d’autore”, n. 28.
[33] A costo di eccedere in sottigliezza e anche di essere ripetitivo: un campionamento non impone anche quello di una registrazione preesistente dell’opera, ma di regola è ciò che accade oppure il frammento viene eseguito “come l’originale” (il che è più semplice quando si possa far uso di strumentazione digitale).

venerdì 29 novembre 2013

IL “REMIX” FONOGRAFICO (questioni di tutela giuridica e contrattualistica conseguente)


IL “REMIX” FONOGRAFICO
(questioni di tutela giuridica e contrattualistica conseguente)
 
Un settore della fonografia che non sembra, per ora, avere ripercussioni almeno in termini qualitativi ([1]) è quello dei “rimissaggi”, ovvero dei “remix”, di registrazioni.
Anzi, data la loro usuale funzione di rivolgersi a segmenti particolari: i disc jockey, oppure gli ascoltatori più fedeli di un artista, la loro importanza può addirittura essere accentuata dal periodo non florido che colpisce i produttori di fonogrammi ([2]).
 
Sotto un profilo giuridico, l’argomento ha more solito una duplice rilevanza: quello della sua tutelabilità in termini oggettivi (suo rapporto con l’opera cui si riferisce e registrazione derivata da quella originale) e soggettivi (chi è proprietario della registrazione) e quello della contrattualistica che lo riguarda.
Come si vedrà, i due vettori non sono del tutto scindibili.

 

Per quel che concerne il “bene remix”, in astratto potrebbe porsi il problema se il remix sia un’opera musicale derivata da quella originale e quindi suscettibile di tutela come opera dell’ingegno: per l’articolo 4 della legge n. 633 del 1941: “Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali […] le variazioni non costituenti opera originale” ([3]); il successivo articolo 18, comma 2, precisa che “”[i]l diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera previste all’art. 4; mentre il precedente articolo 12, comma 1, prevede che l’autore “[h]a altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Ne consegue che l’editore musicale attento si preoccuperà: da un lato, di disciplinare contrattualmente l’ipotesi dei remix con gli autori e compositori di ogni opera musicale ceduta ([4]); dall’altro, ove ciò si renda necessario ([5]), anche a raggiungere un accordo con l’autore e/o compositore del remix.

 

Dal canto suo, il PdF dovrebbe prevedere nel contratto con ogni artista anche l’ipotesi di realizzazione di un remix e disciplinarla quanto a: facoltatività (o meno), sopportazione dei costi di sua realizzazione, approvazione della (o delle) registrazione derivata, corrispettivi dovuti all’artista per lo sfruttamento commerciale del remix, eccetera.

 

La posizione del soggetto che realizza il remix si può, a questo punto, paragonare a quella del produttore artistico ([6]): come quest’ultimo egli lavora con qualcosa di altrui, ma il remixer più che con l’artista-interprete-esecutore e gli altri soggetti che hanno partecipato alla realizzazione della registrazione originale lavora con il “prodotto finito” cui ha contribuito anche il PA ([7]).

 

Come per ogni altro contratto, colui che redige quello avente ad oggetto un remix deve avere una certa dimestichezza con le prassi che sono disciplinate nell’accordo inter partes: pena il rischio di controversie di non semplice soluzione.
Data questa premessa, un testo ben articolato che regoli i rapporti fra PdF e remixer può avere come punto di partenza un contratto fra PdF e PA, ma da quel momento in avanti occorre ragionare per analogia solamente rispetto alle eventualità, non con riferimento all’attività consistente nel remix che è per molti aspetti diversa da quella svolta dal PA.
In linea di massima, è corretto ragionare innanzitutto in termini di registrazione fonografica derivata (il remix) e considerando il remixer come soggetto in una posizione comunque subordinata rispetto a quella dell’AIE cui si riferisce il remix, ma appena si proceda incaricando del remix un soggetto noto (come potrebbe accadere anche per il PA) ([8]), tutto si fa più complesso, ed al remixer potrebbe doversi applicare anche un trattamento da AIE e, eventualmente, anche di autore e/o compositore di opera musicale derivata.

 

 

                                                                                                                      Stefano Galli

 

 

 

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© 2013 Stefano Galli, Milano, Italia.

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[1] Chiaramente se si vendono meno fonogrammi o copie di registrazioni, la contrazione colpirà anche le registrazioni remixate e i fonogrammi che le contengono.
[2] “PdF”.
[3] L’elenco completo di cui alla norma è piuttosto articolato.
[4] Si rammenta come, per giurisprudenza e dottrina ormai pacifiche, l’opera musicale (a differenza dell’opera letteraria tradizionale) sia oggetto di contratti aventi durata perpetua; cioè l’autore cede l’opera (secondo le quote previste dal contratto) per sempre all’editore.
[5] Chiaramente, se editore e PdF hanno buoni rapporti (o se si tratta di imprese facenti capo al medesimo “gruppo”) tutto sarà più semplice.
[6] “PA”.
[7] Onde anche la contrattualistica fra PdF e PA deve essere la più completa possibile in termini di ipotesi contemplate.
[8] Per praticità esemplifico con un solo artista, David Bowie, e mi riferisco al suo album The Next Day (del 2013).
Il produttore artistico dell’album è Tony Visconti, la cui notorietà ed autorevolezza è indiscussa e come tale è trattato.
Autore di un remix della registrazione dell’opera musicale “Love Is Lost”è James Murphy, già leader dei LCD Soundsystem che è accreditato in copertina con riferimento a DFA, la sua “etichetta” fonografica. Ad ulteriore complicazione, il titolo del remix in questione include nome e cognome del compositore Steve Reich e la registrazione derivata è qualificata come “mix”.