venerdì 29 novembre 2013

IL “REMIX” FONOGRAFICO (questioni di tutela giuridica e contrattualistica conseguente)


IL “REMIX” FONOGRAFICO
(questioni di tutela giuridica e contrattualistica conseguente)
 
Un settore della fonografia che non sembra, per ora, avere ripercussioni almeno in termini qualitativi ([1]) è quello dei “rimissaggi”, ovvero dei “remix”, di registrazioni.
Anzi, data la loro usuale funzione di rivolgersi a segmenti particolari: i disc jockey, oppure gli ascoltatori più fedeli di un artista, la loro importanza può addirittura essere accentuata dal periodo non florido che colpisce i produttori di fonogrammi ([2]).
 
Sotto un profilo giuridico, l’argomento ha more solito una duplice rilevanza: quello della sua tutelabilità in termini oggettivi (suo rapporto con l’opera cui si riferisce e registrazione derivata da quella originale) e soggettivi (chi è proprietario della registrazione) e quello della contrattualistica che lo riguarda.
Come si vedrà, i due vettori non sono del tutto scindibili.

 

Per quel che concerne il “bene remix”, in astratto potrebbe porsi il problema se il remix sia un’opera musicale derivata da quella originale e quindi suscettibile di tutela come opera dell’ingegno: per l’articolo 4 della legge n. 633 del 1941: “Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali […] le variazioni non costituenti opera originale” ([3]); il successivo articolo 18, comma 2, precisa che “”[i]l diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera previste all’art. 4; mentre il precedente articolo 12, comma 1, prevede che l’autore “[h]a altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Ne consegue che l’editore musicale attento si preoccuperà: da un lato, di disciplinare contrattualmente l’ipotesi dei remix con gli autori e compositori di ogni opera musicale ceduta ([4]); dall’altro, ove ciò si renda necessario ([5]), anche a raggiungere un accordo con l’autore e/o compositore del remix.

 

Dal canto suo, il PdF dovrebbe prevedere nel contratto con ogni artista anche l’ipotesi di realizzazione di un remix e disciplinarla quanto a: facoltatività (o meno), sopportazione dei costi di sua realizzazione, approvazione della (o delle) registrazione derivata, corrispettivi dovuti all’artista per lo sfruttamento commerciale del remix, eccetera.

 

La posizione del soggetto che realizza il remix si può, a questo punto, paragonare a quella del produttore artistico ([6]): come quest’ultimo egli lavora con qualcosa di altrui, ma il remixer più che con l’artista-interprete-esecutore e gli altri soggetti che hanno partecipato alla realizzazione della registrazione originale lavora con il “prodotto finito” cui ha contribuito anche il PA ([7]).

 

Come per ogni altro contratto, colui che redige quello avente ad oggetto un remix deve avere una certa dimestichezza con le prassi che sono disciplinate nell’accordo inter partes: pena il rischio di controversie di non semplice soluzione.
Data questa premessa, un testo ben articolato che regoli i rapporti fra PdF e remixer può avere come punto di partenza un contratto fra PdF e PA, ma da quel momento in avanti occorre ragionare per analogia solamente rispetto alle eventualità, non con riferimento all’attività consistente nel remix che è per molti aspetti diversa da quella svolta dal PA.
In linea di massima, è corretto ragionare innanzitutto in termini di registrazione fonografica derivata (il remix) e considerando il remixer come soggetto in una posizione comunque subordinata rispetto a quella dell’AIE cui si riferisce il remix, ma appena si proceda incaricando del remix un soggetto noto (come potrebbe accadere anche per il PA) ([8]), tutto si fa più complesso, ed al remixer potrebbe doversi applicare anche un trattamento da AIE e, eventualmente, anche di autore e/o compositore di opera musicale derivata.

 

 

                                                                                                                      Stefano Galli

 

 

 

AVVERTENZA: il materiale qui pubblicato è fornito a mero scopo informativo ed è l’opinione del suo autore al momento della sua redazione, esso non costituisce, nemmeno in parte, parere legale o professionale

 

 

© 2013 Stefano Galli, Milano, Italia.

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[1] Chiaramente se si vendono meno fonogrammi o copie di registrazioni, la contrazione colpirà anche le registrazioni remixate e i fonogrammi che le contengono.
[2] “PdF”.
[3] L’elenco completo di cui alla norma è piuttosto articolato.
[4] Si rammenta come, per giurisprudenza e dottrina ormai pacifiche, l’opera musicale (a differenza dell’opera letteraria tradizionale) sia oggetto di contratti aventi durata perpetua; cioè l’autore cede l’opera (secondo le quote previste dal contratto) per sempre all’editore.
[5] Chiaramente, se editore e PdF hanno buoni rapporti (o se si tratta di imprese facenti capo al medesimo “gruppo”) tutto sarà più semplice.
[6] “PA”.
[7] Onde anche la contrattualistica fra PdF e PA deve essere la più completa possibile in termini di ipotesi contemplate.
[8] Per praticità esemplifico con un solo artista, David Bowie, e mi riferisco al suo album The Next Day (del 2013).
Il produttore artistico dell’album è Tony Visconti, la cui notorietà ed autorevolezza è indiscussa e come tale è trattato.
Autore di un remix della registrazione dell’opera musicale “Love Is Lost”è James Murphy, già leader dei LCD Soundsystem che è accreditato in copertina con riferimento a DFA, la sua “etichetta” fonografica. Ad ulteriore complicazione, il titolo del remix in questione include nome e cognome del compositore Steve Reich e la registrazione derivata è qualificata come “mix”.